
Leonardo Dudreville, Partita di calcio, 1924. Olio su tela, cm 36,5 x 50,5. Milano, Museo del Novecento
Nel presente articolo prendiamo in esame Partita di calcio del 1924 di Leonardo Dudreville (Venezia, 4 aprile 1885 – Ghiffa, 13 gennaio 1976), artista che trascorse a Milano la parte più importante della sua carriera. Fu uno dei fondatori di Novecento, il movimento artistico nato nel capoluogo lombardo sul finire del 1922 su ispirazione della scrittrice e critica d’arte Margherita Sarfatti, che all’epoca aveva una relazione molto stretta con Benito Mussolini. Sul piano culturale l’esperienza di Novecento si colloca all’interno di una più generale esigenza di “ritorno all’ordine”, manifestatasi nel campo delle arti figurative dopo la Prima Guerra Mondiale come reazione alle sperimentazioni avanguardistiche. Il denominatore comune dei pittori di Novecento era il ritorno a una pittura d’ispirazione classica dal punto di vista formale – quindi, semplificando al massimo, realistica – ma moderna nei contenuti. Non si trattava, in sostanza, di respingere l’avanguardia in toto, ma di rielaborarla con uno stile più vicino alle comuni abitudini visive. Partita di calcio è un quadro significativo in tal senso perché combina un linguaggio realistico a temi tipici del futurismo come la città, la fabbrica, la macchina (l’aereo) e lo sport. Non va dimenticato, del resto, che Dudreville aveva avuto più di un contatto col movimento futurista: nel 1910 avrebbe dovuto firmare il Manifesto dei pittori futuristi, ma fu escluso dal gruppo per volontà di Boccioni, nel 1919 espose alcuni quadri alla Grande Esposizione Nazionale Futurista alla Galleria Centrale d’Arte di Milano e, l’11 gennaio 1920, fu tra i firmatari di Contro tutti i ritorni in pittura – Manifesto futurista. Come possiamo vedere, Partita di calcio presenta un’immagine serena e rassicurante del calcio: quanto, nel 1924, questa immagine corrispondeva al vero?
Partiamo col dire che nel 1924 il calcio nostrano stava vivendo una complicata fase di transizione, che lo avrebbe trasformato in uno sport di massa capace di muovere grandi somme di denaro. Già da prima della Grande Guerra gli interessi economici erano entrati nel football italiano come dimostravano i professionisti mascherati da dilettanti; si trattava di giocatori particolarmente validi, che i presidenti attiravano nei propri club in cambio di denaro; la retribuzione era occultata in vari modi per evitare le sanzioni della FIGC, che continuava a difendere ufficialmente il dilettantismo. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il calcio accrebbe il suo successo popolare nell’Italia duramente provata dal conflitto; in fondo era un gioco alla portata anche delle classi meno abbienti: bastavano una palla, un terreno abbastanza pianeggiante e quattro pali piantati nel suolo perché un gruppo di ragazzi si divertisse per ore dimenticando i problemi. La diffusione capillare del calcio ebbe come conseguenza la nascita di nuovi club, che presto vollero partecipare a qualche competizione ufficiale; la FIGC, preoccupata dal successo dell’ULIC (la federazione nata nel 1917, su cui tornerò tra poco), accolse questi nuovi club nel campionato nazionale senza un’opportuna selezione. Ciò portò a tornei interminabili con poche sfide appassionanti e un’infinità di partite insignificanti tra grandi squadre e compagini dal livello tecnico modestissimo. Nel 1922 si arrivò addirittura a una scissione; i grandi club, esasperati da questa situazione, crearono una nuova federazione – la Confederazione Calcistica Italiana (CCI) – con un proprio campionato che vinse la Pro Vercelli, all’epoca la squadra più titolata in Italia insieme al Genoa; il parallelo campionato della FIGC, che schierava club di caratura più modesta, fu invece vinto dalla Novese, fondata solo nel 1919 e alla sua prima esperienza in massima serie.
La rottura fu presto risanata, le grandi società rientrarono nella FIGC, il torneo della CCI del 1922 fu riconosciuto ufficialmente e il nuovo campionato della FIGC fu riorganizzato su basi più razionali. Un altro indizio che il calcio non era più un semplice gioco fu la decisione di Edoardo Agnelli, figlio del fondatore e presidente della FIAT Giovanni, di assumere la presidenza della Juventus nel 1923. Una delle sue prime mosse fu l’acquisto del difensore della Pro Vercelli – e della nazionale – Virginio Rosetta con un lauto ingaggio sottobanco; questo “colpo di mercato” scandalizzò il calcio italiano dell’epoca e fu considerato illegale dalla FIGC, che inflisse penalizzazioni di punti alla Juventus. Oltre agli interessi economici, il mondo pallonaro nostrano iniziò a destare anche forti passioni popolari; gruppi sempre più grandi di tifosi presero a seguire la propria squadra anche in trasferta, creando così una tensione potenziale con la tifoseria opposta che non tardò a esplodere: si ricordi che nel 1924 le finali della Lega Nord tra Bologna e Genoa furono giocate in un clima assai teso con risse tra i tifosi e che quella di ritorno fu addirittura sospesa dall’arbitro.
Professionisti occulti, interessi economici, violenza negli stadi: pare proprio che nel 1924 il football italiano avesse ben poco di quello spirito romantico che traspare da Partita di calcio di Dudreville. Il quadro raffigura due squadre di ragazzi che si affrontano su uno spelacchiato terreno della periferia di una città; sono due compagini piuttosto povere, che sono state in grado di dotarsi di maglie dello stesso colore, ma che non hanno potuto fare altrettanto con pantaloncini e calzettoni, cui ciascun giocatore ha dovuto provvedere alla bell’e meglio. Il terreno di gioco ha una superficie irregolare ed è ricoperto qua e là da una vegetazione incolta (si noti, ad esempio, il grosso arbusto secco in primo piano), tanto che oggi non esiteremmo a definirlo un “campo di patate”. Non è presente alcuna linea di demarcazione; le porte, storte, sono semplici pali di legno che probabilmente i ragazzi si porteranno via a fine partita per evitare che qualche passante li rubi e li getti nella propria stufa per riscaldarsi. Sullo sfondo del dipinto si vedono alcune fabbriche, a destra, e una fila di baracche, a sinistra; più lontano ci sono alcune case di ringhiera, un tipico esempio di edilizia popolare di quegli anni. Il cielo nuvoloso è solcato da due aeroplani, che con le fabbriche e lo sport erano simboli di modernità per i futuristi come si è già ricordato. A bordo campo alcuni spettatori – verosimilmente parenti o amici dei ragazzi – assistono all’incontro; alcuni sembrano passare di lì per caso come il signore con il grembiule bianco e una cesta in fondo a destra. Al centro del quadro vediamo quattro giocatori che saltano per colpire il pallone di testa, mentre i compagni attendono gli sviluppi dell’azione. La lotta per il possesso della sfera che domina la composizione non è tuttavia sufficiente per dare a Partita di calcio un carattere eccessivamente agonistico; infatti, per evidenziare che il tema del quadro è il gioco e non la competizione esasperata, Dudreville ha dipinto in primo piano un giocatore in maglia bianca – forse un portiere di riserva – che si diverte con un cane senza badare a ciò che accade in campo. Anche i due ragazzi in maglia rossa a destra paiono estranei alla partita.
In sostanza, il quadro di Dudreville ci mostra un calcio povero, popolare, romantico se vogliamo, lontano anni luce da quello – macchiato da interessi economici e tifoserie violente – della FIGC. L’atmosfera di Partita di calcio sembra molto più in sintonia con lo spirito che animava l’Unione Libera Italiana del Calcio (ULIC) fondata a Milano il 21 luglio 1917 dal medico Luigi Maranelli, noto come “Papà Half”.
Maranelli rimproverava alla FIGC di interessarsi solo dei grandi club e di ignorare le numerosissime squadre di dilettanti nate in ambienti popolari con l’unico scopo di divertirsi in compagnia. Rifiutando i metodi della FIGC, l’ULIC non imponeva tasse o multe ai propri tesserati e dava loro totale libertà di movimento; non era raro, infatti, che un giocatore cambiasse squadra da una settimana all’altra; poteva anche succedere che tesserati della FIGC giocassero qualche partita in tornei dell’ULIC per poi tornare al proprio club. Il tutto nell’ULIC era all’insegna del più totale dilettantismo per rendere il calcio accessibile a chiunque, eliminando ogni barriera posta dalle origini sociali. Nonostante questo modello organizzativo piuttosto anarchico, l’ULIC fu una minaccia per la FIGC soprattutto nell’immediato dopoguerra, quando fu l’unica federazione a mettere in piedi competizioni calcistiche in Italia; infatti, la FIGC riprese solo dal 1920 a organizzare il campionato e, per far fronte al pericolo ULIC, accolse inizialmente ogni squadra come ho ricordato sopra. Dopo il 1920 l’ULIC conservò ancora per qualche anno un ruolo importante nel calcio italiano, soprattutto in quello giovanile, giacché tutti i ragazzi – anche i più poveri – potevano giocare nei suoi tornei. Queste competizioni rappresentavano un’ottima vetrina in cui un giovane di talento poteva mettersi in mostra e attirare l’attenzione di un qualche grande club: va ricordato che proprio in quel 1924, in cui Dudreville dipinse Partita di calcio, Giuseppe Meazza – oggi considerato il più grande calciatore italiano di tutti tempi – lasciò il Gloria FC, una squadra dell’ULIC, per passare alle giovanili dell’Internazionale di Milano.
Che raffiguri una partita dell’ULIC o no, Partita di calcio riporta il football alla sua dimensione originaria di semplice gioco tra ragazzi; nel 1924 il calcio giovanile nostrano pareva ancora lontano dai problemi che stavano intaccando quello “adulto” e doveva sembrare a Dudreville la parte migliore del football italiano.
Su quest’opera si veda anche l’articolo che ho pubblicato su Gli Eroi del Calcio.
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