
Albert Gleizes, Les joueurs de foot-ball (I giocatori di foot-ball), 1912-1913. Olio su tela, cm 225,4 x 183. Washington, National Gallery of Art. Foto: Wikipedia
La rivoluzione pittorica di Picasso e Braque
Albert Gleizes (Parigi, 8 dicembre 1881 – Avignone, 24 giugno 1953) fu un esponente del cubismo, il movimento d’avanguardia che, alla fine del primo decennio del Novecento, segnò una svolta radicale nell’arte europea. Riassumiamo brevemente le sue caratteristiche.
Dal Rinascimento all’Ottocento la pittura occidentale è stata soprattutto “naturalistica”, ossia basata sugli stessi meccanismi della visione ottica. I pittori usavano un linguaggio figurativo che riproduceva la comune esperienza visiva sia quando imitavano la realtà (in ritratti, paesaggi, scene di vita quotidiana, episodi storici, ecc.), sia quando inventavano scene fantastiche con esseri soprannaturali. Ciò è evidente se si confrontano, ad esempio, due immagini diversissime tra loro come il realistico Tre maggio 1808 a Madrid di Goya e il visionario Le tentazioni di sant’Antonio di van Craesbeeck.

Francisco de Goya y Lucientes, El tres de mayo de 1808 en Madrid (Il tre maggio 1808 a Madrid), 1813-14. Madrid, Museo del Prado

Joos van Craesbeeck, Le tentazioni di sant’Antonio, 1650. Vienna, Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste
In entrambi i casi, i pittori hanno usato colori realistici, hanno modellato i volumi con il chiaroscuro e hanno seguito le regole della prospettiva. Quest’ultima era un sistema di rappresentazione della tridimensionalità dello spazio, che si basava sul punto di vista unico come la visione ottica umana. La prospettiva fu elaborata nell’Italia del Quattrocento.
Come abbiamo visto nel post sul “Doganiere” Rousseau, dalla fine dell’Ottocento alcuni artisti innovatori iniziarono a liberare la pittura da questa secolare dipendenza dalle regole della visione ottica. Uno di questi era Paul Cézanne, che considerava l’arte una “armonia parallela alla natura”. Cézanne partiva dall’osservazione della realtà per creare immagini basate su un autonomo equilibrio di forme e colori; in alcuni suoi quadri, introdusse diversi punti di vista e distorse, così, la prospettiva realistica tradizionale.
Nella Parigi della fine del primo decennio del Novecento, Pablo Picasso e Georges Braque portarono alle estreme conseguenze le innovazioni di Cézanne: moltiplicarono i punti di vista, ruppero l’unità tridimensionale degli oggetti e combinarono diversi frammenti di realtà in una autonoma architettura di forme, totalmente indipendente dalla passiva imitazione del mondo esterno. In sostanza, con Picasso e Braque la pittura divenne una creazione libera, dotata di una propria, autonoma bellezza.
Cosa vuol dire moltiplicare i punti di vista? E rompere l’unita tridimensionale degli oggetti? Cerco di spiegarmi meglio. Prendiamo, ad esempio, un normale dado da gioco. Tutti sappiamo che ha sei facciate numerate da uno a sei.
Cosa succederebbe se volessimo dipingerlo seguendo la prospettiva tradizionale con punto di vista unico? Nella realtà, possiamo vedere solo tre lati di un dado contemporaneamente. Pertanto, se seguissimo la comune esperienza visiva, avremmo un’immagine come questa.
Però noi sappiamo che il dado ha sei lati; se volessimo raffigurarne quattro, cinque o tutti e sei dovremmo “spezzare” la sua tridimensionalità e dipingere diversi pezzi di dado osservati in momenti differenti. Braque e Picasso hanno applicato tale analisi non solo a un singolo oggetto, ma anche a tutto ciò che lo circonda. Nei loro quadri hanno combinato liberamente frammenti di realtà e hanno cercato una bellezza totalmente artistica, ossia basata solo sulla loro sensibilità e la loro intuizione. Si vedano, ad esempio,Violino e candeliere di Braque o il Ritratto di Wilhelm Uhde di Picasso: cose e persone sono scomposti in figure geometriche, corrispondenti a diversi momenti percettivi, che si intersecano tra loro. La bellezza dei due dipinti dipende dalla loro armonia interna, non più dall’abilità nell’imitare una realtà esterna.

Pablo Picasso, Portrait de Wilhelm Uhde (Ritratto di Wilhelm Uhde), 1910. Collezione privata. Foto: www.designveryeasy.com

Georges Braque, Violon et chandelier (Violino e candeliere), 1910. San Francisco, Museum of Modern Art. Foto: Wahoo Art
Compresi che la pittura aveva un valore intrinseco, indipendente dalla riproduzione reale dell’oggetto. Mi domandai se non si dovesse rappresentare i fatti come si sa che sono, invece di come uno li vede. Dato che la pittura possiede la sua propria bellezza, si può creare una bellezza astratta purché resti pittorica (Pablo Picasso).
I quadri cubisti di Braque e Picasso sono difficili da interpretare al primo sguardo perché, come già detto, sono la somma di sguardi diversi avvenuti in tempi differenti: in sostanza, introducono nell’arte la dimensione del tempo. Va notato che questo era in sintonia con le ricerche di Albert Einstein, che nel 1905, dimostrò che i fenomeni fisici avvengono in un contesto composto dalle tre dimensioni dello spazio (larghezza, lunghezza e profondità) e dal tempo, ossia la quarta dimensione. Al di là di questa casuale tangenza tra arte e scienza, ciò che più conta è che Picasso e Braque hanno voluto coinvolgere lo spettatore nel processo creativo: chi osserva i loro quadri, deve analizzarli attentamente e, come in un gioco, usare la fantasia per intuire il loro significato.
I “cubisti da Salon”
Picasso e Braque non si autodefinirono cubisti. La parola “cubismo” fu usata da alcuni critici per descrivere i loro quadri che, in effetti, hanno spesso l’aspetto di un reticolo di figure geometriche.
Quando (Braque ed io) facevamo del cubismo, non avevamo alcuna intenzione di fare del cubismo, ma solo di esprimere ciò che avevamo dentro (Pablo Picasso).
Inoltre, i due pittori scelsero di non partecipare alle mostre annuali che davano visibilità agli artisti non accademici di Parigi: ossia il Salon des indépendants e il Salon de automne. Chi voleva vedere le opere di Picasso e Braque doveva andare nel loro studio o nella galleria d’arte del mercante/collezionista Daniel Henry Kahnweiler.

Pablo Picasso, Portrait de Daniel Henri Kahnweiler (Ritratto di Daniel Henri Kahnweiler), 1910. Chicago, Art Institute. Foto: Wikipedia
Fu solo nel 1911 che nacque un vero e proprio movimento cubista. In tale anno, alcuni giovani artisti influenzati da Picasso e Braque esposero al Salon des indépendants, al Salon de automne e alla mostra organizzata dalla Société des artistes indépendants di Bruxelles dove, per la prima volta, si definirono “cubisti”. Tra loro c’erano Jean Metzinger e Albert Gleizes, che nel 1912 pubblicarono il libro Du cubisme (Del cubismo) e divennero, pertanto, i teorici del nuovo movimento d’avanguardia.

Jean Metzinger, Deux nus (Due nudi), 1910-11. Göteborg, Konstmuseum. Foto: Wikipedia

Albert Gleizes, Le chemin, Meudon (Il cammino, Meudon), 1911. Collezione privata. Foto: Wikipedia
Tali artisti esposero regolarmente le loro opere nei Salon anche negli anni successivi; pertanto, acquisirono una visibilità maggiore a quella di Braque e Picasso. Paradossalmente, per il pubblico dei Salon, erano Metzinger e Gleizes i portabandiera del cubismo.
La polemica coi futuristi
Nel febbraio 1912 i futuristi italiani organizzarono un’esposizione alla galleria Bernheim-Jeune di Parigi. Nel catalogo della mostra, Boccioni e compagni accusarono i cubisti di accanirsi a dipingere l’immobile, il congelato e tutte le condizioni statiche della natura. Dichiaravano inoltre che la pittura futurista era quanto di più innovativo potesse vedersi in Europa perché trattava temi legati alla vita moderna e, a differenza del cubismo, cercava uno “stile del movimento”. In effetti, i cubisti si erano dedicati fino allora solo a iconografie tradizionali e “statiche” come la natura morta, il ritratto, il nudo e il paesaggio. Inoltre, la scelta di concentrarsi soprattutto sull’analisi della realtà e sull’equilibrio formale del quadro, li aveva portati a usare una gamma limitata di colori, che contrastava con la vivacità cromatica dei dipinti futuristi. Si confrontino, ad esempio, i quadri cubisti su citati con i futuristi Stati d’animo. Gli addii di Boccioni e La rivolta di Russolo.
Le dichiarazioni dei futuristi irritarono diversi artisti francesi. In particolare, nacque una polemica tra futuristi e cubisti, che vide Metzinger e Gleizes schierati in prima linea. In tele come La cathédrale de Chartres o Le Dépiquage des Moissons, Gleizes accentuò la relazione tra temi tradizionali e moderno linguaggio cubista per opporsi al culto della modernità, tipico dei futuristi.

Albert Gleizes, La cathédrale de Chartres (La cattedrale di Chatres), 1912. Hannover, Sprengel Museum. Foto: Pinterest

Albert Gleizes, Le Dépiquage des Moissons (La trebbiatura delle messi), 1912. Tokyo, National Museum of Western Art. Foto: Wikipedia
In seguito, Gleizes decise di competere con i futuristi nel loro campo, volle affrontare il problema del dinamismo in pittura occupandosi di un tema tipico della vita nelle moderne città industriali: lo sport. In questa scelta fu preceduto da Metzinger, che nel 1912 dedicò un quadro allo sport allora più popolare in Francia: il ciclismo.

Jean Metzinger, Au vélodrome (Al velodromo), 1912. Venezia, Peggy Guggenheim Collection. Foto: Wikipedia
Gleizes scelse invece di dipingere un quadro sul rugby, un tema che aveva già una sua tradizione nell’arte francese: era già stato affrontato in scultura da Duchamp-Villon e in pittura dal “Doganiere” Rousseau.
Il Rugby football in Francia all’inizio degli anni Dieci
Nella Francia del 1912-13 il rugby era uno spettacolo in grado di attirare un pubblico sempre più numeroso: alla finale del campionato del 1911-12, vinta dallo Stade Toulousain, assistettero 15000 spettatori, che aumentarono a 20000 in quella del torneo del 1912-13, che si aggiudicò l’Aviron Bayonnais.
Al successo di tale sport contribuì anche la nazionale francese, che entrò presto tra le grandi del rugby. Come abbiamo visto nel post su Duchamp-Villon, una selezione di giocatori francesi vinse la medaglia d’oro di rugby ai Giochi Olimpici di Parigi del 1900. Tuttavia, non si trattava ancora di una nazionale vera e propria, che fu fondata solo nel 1906.
Sebbene non abbia potuto partecipare ai Giochi Olimpici di Londra del 1908, nei suoi primi anni di vita la selezione francese affrontò ripetutamente l’Inghilterra, il Galles, la Scozia e l’Irlanda, le nazionali che dal 1883 si contendevano lo Home Nations Championship, il più antico torneo internazionale di Rugby football. Grazie alla qualità di gioco espressa, nel 1910 la Francia fu ammessa a tale competizione, che fu rinominata Five Nations Championship. All’inizio, non fu facile per l’equipe transalpina confrontarsi con le forti nazionali britanniche, che la sconfissero ripetutamente. Ma il 2 gennaio 1911 la Francia superò per 16 a 15 la Scozia allo stadio Colombe di Parigi ottenendo, così, la sua prima vittoria nel prestigioso torneo.
I rugbisti di Gleizes
Les joueurs de foot-ball (I giocatori di football) è un quadro di grandi dimensioni, che Gleizes espose per la prima volta nel marzo del 1913 al Salon des indépendants di Parigi. É un’imponente architettura di forme e colori, in cui dominano le linee oblique e curve. Sono proprio queste che, scontrandosi, movimentano la superficie della tela.

Albert Gleizes, Les joueurs de foot-ball, 1912-13. Washington, National Gallery of Art. Foto: Wikipedia
L’alternanza di luci e ombre aumenta la sensazione dinamica: a tale proposito, va notato che Gleizes ha usato il chiaroscuro non per definire i volumi – come nella pittura tradizionale – ma per creare un ritmo astratto. La maggior parte delle linee converge al centro, dove si svolge l’azione principale. Qui si vede un giocatore in maglia azzurra che corre col pallone, mentre un compagno lo aiuta alle sue spalle e un altro cade a terra in basso a sinistra. I tre giocatori sono ostacolati da altrettanti avversari in maglia gialla (uno a destra e due a sinistra). Nell’angolo inferiore destro si vedono alcuni fiori, un dettaglio realistico che ci ricorda che i campi di gioco del tempo erano ben lontani dei perfetti manti erbosi di oggi. In alto a destra si riconosce una tribuna con il pubblico che, come abbiamo visto, era spesso numeroso agli incontri di rugby. Il resto della zona superiore è occupato da un paesaggio di periferia urbana; si riconoscono alcune case, un ponte in ferro e il fumo di una fabbrica, che sale in cielo e si confonde con le nuvole. Al centro, proprio sopra le teste dei giocatori, ci sono alcune figure difficili da decifrare: del resto, per Gleizes bisognava evitare l’eccessiva chiarezza nell’opera d’arte.
Troppa chiarezza non sta bene (…) Il decoro esige una certa oscurità, il decoro è uno degli attributi dell’arte (A. Gleizes, J. Metzinger, Del cubismo, 1912)
Sebbene Les Joueurs de foot-ball presenti un’impeccabile scomposizione formale cubista, rispetta la prospettiva tradizionale nella sua zona più importante, dove il gruppo di giocatori è facilmente riconoscibile. In sostanza, Gleizes ha adottato una soluzione di compromesso che fa sembrare abbastanza “conservatore” il suo cubismo. Il carattere tradizionalista del cubismo di Gleizes è evidente se si confronta Les joueurs de foot-ball con Natura morta con sedia impagliata di Picasso del 1912. Qui l’artista spagnolo rivoluzionò ancora una volta il linguaggio pittorico introducendo la tecnica del collage: unì parole, oggetti dipinti e reali (una tela cerata e una corda) per creare un’opera d’arte svincolata non solo dalle convenzioni formali dell’arte accademica, ma anche dai compromessi dei “cubisti da Salon”.

Pablo Picasso, Nature morte à la chaise cannée (Natura morta con sedia impagliata), 1912. Parigi, Musée Picasso. Foto: Collage
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